La Alcantara House alla recente Milano Design Week

Alcantara, eleganza e lusso della tecnologia made in Italy

di Nicola Desiderio
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NERA MONTORO - «Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./Codesto solo oggi possiamo dirti,/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Sono i celebri versi di un Premio Nobel italiano che, per un fortuito caso, descrivono uno dei fenomeni industriali e del Made in Italy più interessanti degli ultimi anni: Alcantara.
 

 

Il suo nome deriva dall’arabo “el-qantara”, vuol dire “il ponte” e ha raggiunto varie lingue e vari luoghi trasformandosi in toponimo, attraverso la contaminazione realizzata dal tempo e dalla storia. Alcantara è un fiume siciliano, diverse città in Spagna, Brasile e persino nelle Filippine. È una “freguesia” (una frazione) di Lisbona e il nome di più di un calciatore, anche se il più celebre è il centrocampista del Bayern Monaco e della nazionale spagnola, Thiago Alcantara. Alcantara è un’industria con sede in Italia che produce un materiale che è… è più facile dire quello che non è. Non è un tessuto, perché non ha trama, non è una pelle sintetica né uno scamosciato perché si può lavare e stirare, e poi è compatto, ma morbido come il velluto, leggero e avvolgente come la seta, resistente come la microfibra e tutto questo lo rende raffinato, duttile, trasversale.

La “formula”? Non si può domandare, come dice la poesia di Eugenio Montale. Si sa che è un mix di poliuretano e poliestere ideato nel 1970 da un certo Miyoshi Okamoto e che si fa a Nera Montoro, una frazione di Narni, in provincia di Terni. E si badi bene: si fa solo a Nera Montoro anche se i denari, così come l’idea, sono giapponesi. Alcantara SpA, società con sede a Milano, è un ponte industriale, di conoscenze e geografie: è posseduta infatti al 70% da Toray, multinazionale nel settore chimico con un fatturato da quasi 18 miliardi di euro l’anno, e al 30% da Mitsui, uno dei gruppi industriali più grandi al mondo, un “keiretsu” con mani in pasta nei settori industriali e commerciali più disparati.

Dalla nascita nel 1972 fino al 1995 vi aveva avuto una partecipazione anche l’Eni, ma la sua uscita non ha modificato la natura italiana di questa multinazionale “glocale” che esporta il 90% di quel che produce – «la formula che mondi possa aprirti» – e sa perfettamente «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Non siamo l’azienda che sfrutta un territorio per poi lasciare a casa centinaia di persone per produrre dove costa meno, non vogliamo delocalizzare. Lo ripetono da sempre, anzi oggi investono e rilanciano: 300 milioni di euro nei prossimi 5 anni che porteranno il giro d’affari a crescere dagli attuali 185 milioni a 300-320 e gli occupati da 598 a 800. Ma l’incremento maggiore sarà per il valore del marchio.

La società di consulenza Interbrand ha valutato che il nome Alcantara oggi vale 100 milioni di euro. Nel 2022, quando Alcantara compirà 50 anni, varrà il triplo. E si badi bene ad un’altra cosa: si fa tutto a Nera Montoro. In Umbria non ci sono solo gli operai, ma tutte le attività di ricerca e sviluppo. Dentro i laboratori che si trovano nello stesso complesso dove l’Alcantara viene prodotto, c’è Robert, una macchina capace in 10 giorni di simulare 10 anni di uso severo, e non è il solo a saggiare i limiti fisici di un materiale che si trova nell’arredamento per interni, marina da diporto, aviazione, abbigliamento, accessori.

Ma il campo principale è l’automotive. La prima applicazione fu sulla Lancia Thema, nel 1984, l’anno dopo fu la volta dell’Autobianchi Y10 e da allora è stata un’escalation di clienti e di immagine, sempre più prestigiosi. Per dirla nel linguaggio del marketing, Alcantara è diventata un “ingredient branding” ovvero un marchio capace di valorizzare un altro marchio componendolo come un ingrediente di primissima qualità. Mettetelo sui sedili, sul volante, sul cielo e persino sui montanti e sulla cappelliera: la sua presenza arricchisce e nobilita fondendo e scambiando la propria magica energia con ciò che riveste e avvolge.

Un’energia che “scalda” gli oggetti, soprattutto quelli intrinsecamente “freddi”. Non a caso, il campo di applicazione dell’Alcantara che sembra offrire prospettive maggiori è quello dell’elettronica di consumo: custodie per smartphone e tablet, rivestimenti esterni di personal computer e device di fascia alta, persino di diffusori acustici, televisori, cuffie da ascolto ed occhiali. È lusso, ma nel senso moderno, a cominciare al rispetto ambientale. Alcantara infatti è stata nel 2009 la prima azienda italiana certificata “carbon neutral”. Per dirla con Montale, non è «un croco perduto in mezzo a un polveroso prato», ma l’esempio di come una prosa industriale possa esprimersi nel linguaggio della creatività. Non saranno i versi di un poeta, ma è e rimane una storia italiana.


 

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Martedì 18 Aprile 2017 - Ultimo aggiornamento: 17:01 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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