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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
La sede della Comunità Europea a Bruxelles

Auto, Cina e America corrono. L'Europa arranca bloccata dalla burocrazia e dai divieti

di Giorgio Ursicino

Auto, si cambia. Anche l’America ha deciso di svoltare con più decisione. Molto in fretta. L’area geografica che prima sembrava poco preoccupata dei cambiamenti climatici e, fino a poco tempo fa, pensava di non deludere i propri automobilisti da sempre attratti da imponenti pick up che bevono fiumi di benzina. Guardando bene, le cose non stanno così come sembrano. Il mercato, spesso, è più avanti dei decisori politici. E i clienti si orientano verso soluzioni più “furbe” che hanno un futuro davanti. Anche “economico”. Questa volta, inoltre, c’erano altre variabili impossibili da trascurare. Da una parte, l’automotive a stelle e strisce si è trovata in casa la gallina dalle uova d’oro: quel gioiello di Tesla che scruta tutti dall’alto in basso. Formidabili vetture solo zero emission, rete di rifornimento globale di proprietà e sistema di vendita figlio dell’era digitale che permette di realizzare margini da favola spingendo in alto la capitalizzazione.

In uno scenario del genere, gli Usa possono tornare leader della mobilità, un settore fondamentale che avevano quasi abbandonato del tutto al tramonto dello scorso millennio perché considerato «poco strategico ed a bassa marginalità». Un modo di «spingere il ferro» che non può attrarre l’interesse degli apripista. Dall’altra, si prospetta all’orizzonte la chance di togliere alla Cina il monopolio dei trasporti su terra consegnato, con troppa nochalance, al colosso Orientale nel recente passato. Così, con uno scatto di reni e senza parlare troppo, l’amministrazione degli States ha messo sul tavolo la cifra monstre di quasi 400 miliardi per il bene dell’ambiente, 135 dei quali esclusivamente riservati alla mobilità elettrica nelle sue varie declinazioni. Ce n’è per tutti. E per qualsiasi gusto. Dai produttori ai consumatori, coinvolgendo tutta la catena del valore e senza trascurare chiaramente il nervo sensibile dei punti di ricarica.

Assorbito lo chock positivo che il business può portare al cambiamento, l’intervento è sembrato molto più risolutivo di quello scelto dall’Europa che, per affrontare il problema, ha imposto l’obbligo invece della “convenienza”, innescando qualche turbolenza facilmente evitabile. Visto che la svolta è simile ad un salto mortale assolutamente senza rischi, è evidente che risultino migliori le scelte delle due locomotive transoceaniche: non pongono alcun limite all’utilizzo dei motori endotermici. Ed è giusto così: conviene incentivare il futuro piuttosto che vietare il passato. Se da una parte, infatti, c’è da difendere l’aspetto ambientale e quello della salute dei cittadini certamente sacrosanti, dall’altra esistono sfaccettature sociali ed economiche che vanno a cozzare con il diritto, altrettanto primario, della mobilità. Non è corretto costringere, senza condivisione, una parte significativa della popolazione a non muoversi più in piena libertà. Tanto, se quello che sostengono i guru attuali ha un fondo di verità, si tratta veramente di un falso problema in quanto la soluzione arriverà molto prima della scadenza.

Elon Musk, senza dubbio un tipo un filo credibile, ha recentemente annunciato che produrrà un motore elettrico al costo di mille euro (diverse volte di meno di un vecchio termico) e nel 2030 realizzerà 20 milioni di auto. Un quarto dell’attuale produzione mondiale per un brand che, solo dieci anni fa, non c’era. Poi ci sono i marchi cinesi, ancora più aggressivi in fatto di gamme, novità e prezzi. Il settore, mai come ora, neanche ai tempi d’oro della motorizzazione di massa, aveva attirato così tanti talenti. Menti geniali. Oltre all’inventore di origini sudafricane, c’è Mate Rimac in Croazia al quale la Porsche ha affidato il compito di fare le Bugatti ad emissioni zero. Poi ci sono i cinesi, giovani e ricchissimi. Li Shufu, oltre ad imperversare in patria, è diventato il padrino delle case europee che fanno fatica a trovare la propria strada.

Quindi svettano Robin Zeng e Huang Shilin nell’orbita CATL e Wang Chuanfu e Lu Xiangyang in quella BYD, le due più grandi aziende mondiali di batterie per auto: ognuno di loro ha un patrimonio personale di oltre 10 miliardi. Insomma, un generazione di fenomeni. L’impressione è che lo scenario cambierà sostanzialmente, chi si limita solo a restare fedele al passato potrebbe trovarsi parecchio in difficoltà. L’europea Volkswagen ha mostrato la ID.2, un’elettrica a meno di 25 mila euro con l’abitabilità della Golf termica dal costo di almeno 10 mila euro in più. E sta lavorando su un altro modello più compatto che di euro ne costerà meno di 20 mila. Cose più o meno simili stanno facendo Stellantis di Carlos Taveres e il Renault Group di Luca de Meo. La Nissan, una casa di solito abbottonata nelle dichiarazioni, ha fatto sapere che dopo il 2026 i loro modelli ad elettroni costeranno meno di quelli termici. Se si produrranno ancora.

Il Canada, l’Unione Europea ed anche il Giappone sono volati a Washington per trattare la parziale inclusione nell’IRA (Inflaction Reduction Act), mettendo a disposizione la loro disponibilità di “terre rare” pur di contrastare la supremazia cinese. Non seguire, almeno in parte, quello che hanno messo in campo gli Usa, espone a grossi rischi. Il continente che ha imposto il divieto di vendita per domare la transizione ha l’incubo di vedere alle corde la propria industria attaccata da Est ed anche da West. I costruttori europei, oltre che andare produrre in Cina dove ci sono materie prima più accessibili, stanno pianificando di fare le gigafactory in Nord America per accedere ai bonus di Biden.

In Italia, per il momento, è in costruzione una sola fabbrica di batterie (Termoli), veramente troppo poco per una terra con la nostra tradizione motoristica. Forse converrebbe concentrarsi sul bersaglio grosso invece di inseguire la chimera dei costosi e-fuel che ancora non esistono nel nostro paese. Nella Penisola il mercato BEV (vetture solo elettriche) vale il 3%, l’industria nazionale nel 2023 è già al 20%. Bisogna ribilanciare adesso. L’unico costruttore nel Belpaese ha programmato l’uscita dal business del petrolio a fine decennio. Da dove li importeremo i veicoli con motore a scoppio dal 2030 al 2035?

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Lunedì 17 Aprile 2023 - Ultimo aggiornamento: 29-04-2023 10:01 | © RIPRODUZIONE RISERVATA