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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Un'auto elettrica in ricarica

Auto elettrica, l'Italia non ingrana: lo scarso successo penalizza la qualità dell'aria e non contrasta i cambiamenti climatici

di Giorgio Ursicino

L’Italia e l’auto elettrica, un feeling che non ingrana. E la nostra politica non ha ancora dedicato al dossier l’attenzione che merita. Il supporto governativo all’automotive, in tempi recenti, è stato veramente pochino. Con la manovra a tenaglia di due capisaldi dello scenario che hanno dato il colpo di grazia. Da una parte, una situazione economica del paese non delle migliori. Dall’altra, la tempesta virtuosa della transizione energetica, spinta dalla necessità di salvaguardare il clima in evidente difficoltà. Il risultato complessivo è deprimente, con le emissioni medie delle auto vendute in decisa crescita e le consegne delle vetture ecologiche che hanno le gomme sgonfie. Intanto l’Europa va avanti. Dopo un lungo iter da noi colpevolmente trascurato, ha definitivamente deciso per il divieto di vendere le vetture termiche dal 2035.

C’è tempo per un ripensamento? A livello comunitario appare difficile, almeno in modo significativo. Certo, se l’Italia si trovasse realmente in difficoltà, una strada verrà trovata (una deroga?). Ma sarebbe meglio evitarla perché la soluzione potrebbe essere peggio del problema: ci costringerebbe a viaggiare ad una velocità diversa dal gruppo di testa in un comparto che è senza dubbio globale. La premier Meloni e il governo tutto hanno promesso giustamente che «difenderanno i legittimi interessi del made in Italy in tutte le sedi». Questi, però, nella loro sostanza, devono essere individuati con precisione. Altrimenti, come sostenuto dal professor Romano Prodi sulle colonne di questo giornale, «la pezza sarebbe peggio del buco». In realtà, il vero punto di non ritorno è stato superato e il trend accelererà ulteriormente. La parte rilevante, infatti, non sarà una data, ma come i costruttori hanno disegnato i loro piani.

Certo, sull’approccio avranno in parte influito le decisioni di Bruxelles e Strasburgo, ma a tracciare le linee del nuovo scenario è stato soprattutto il business. In un settore dove i cicli sono particolarmente lunghi, per vincere si deve puntare al futuro e non al passato. Sono ormai anni che le case automobilistiche non investono più sui validi motori termici, ma preferiscono concentrare tutti gli sforzi sull’azzeramento della CO2. Per ora tutta la posta è messa sulle batterie, ma potrebbe essere anche l’idrogeno con le “fuel cell” poiché a spingere il veicolo è sempre un propulsore ad elettroni. Quasi tutti i produttori (nessuno vuol restare indietro) hanno dichiarato che nel 2030 il loro prodotto europeo sarà tutto zero emission. E certo il quadro non cambierebbe se venisse concesso il 10% delle vendite ai motori a scoppio anche dopo il 2035, proprio come diceva l’ultimo emendamento che è stato bocciato.

Se così sarà come gli esperti dicono, già nel 2030, con la produzione di massa, le economie di scala e le sinergie, i modelli elettrici avranno un prezzo più vantaggioso. Oltre a vantare contenuti nemmeno paragonabili, con una durata e costi di gestione decisamente più appetibili. Il nostro mercato, se non cambierà qualcosa, oltre alle indubbie penalizzazioni ecologiche, avrebbe pochissimi vantaggi. Sarebbe oltremodo in difficoltà anche l’industria della componentistica che, giustamente, è considerata strategica. Questa, è facile da intuire, non è legata alle sorti commerciali tricolori, ma all’approccio dell’industria continentale di cui è uno dei principali fornitori. Se in Europa si venderanno solo auto pulite, i nostri componentisti devono riconvertirsi in fretta per restare una prima scelta.

Quindi tutto l’affaire appare un falso problema. Invece di fossilizzarci su una pietra miliare all’orizzonte fra 12 anni, bisogna cercare già ora di ridurre le differenze con i paesi nostri concorrenti. E per ottenere questo è indispensabile accelerare sull’ecosistema, aumentando il numero dei punti di ricarica certamente non all’altezza di una Penisola dove circolano 40 milioni di vetture (al momento quasi tutte a idrocarburi). È fresca fresca la dichiarazione dell’Unrae che plaude alla decisione del Parlamento Europeo. L’associazione italiana dei costruttori non è altro che un’emanazione dell’Acea sulla stessa lunghezza d’onda. Alcuni numeri già in archivio non rendono giustizia alla gloriosa tradizione automobilistica del Belpaese, la terra della Motor Valley.

A gennaio in Italia sono state consegnate poco più del 2% di auto solo a batterie, percentuale in calo rispetto allo stesso mese dello scorso anno che era già in perdita in relazione al 2021. Un mezzo disastro sulla via della riconversione e dell’aria che respiriamo. L’andamento delle immatricolazioni lo scorso anno nel Continente è ancora più imbarazzante con l’Italia lontana anni luce dai propri competitor dal punto di vista delle vetture con la spina. Cioè ricaricabili, capace di muoversi, almeno per una certa distanza, con energia pulita e non solo con quella derivata dal petrolio. Ancora peggio le cose vanno per le BEV, quelle al 100% a batteria. In Europa nel 2022 sono state vendute 11.774.822 vetture, il 4% in meno rispetto all’anno precedente. Il calo rispetto al 2019, ultimo anno prima della pandemia, è superiore ad un quarto e si avvicina ad un terzo del mercato. Una voragine.

In questo campo minato la Germania ha venduto quasi mezzo milione di auto solo elettriche, con una crescita di oltre il 30%, avvicinandosi ad una quota del 20% (a dicembre è stata del 33%, una vettura su tre). La Gran Bretagna ha fatto meglio in percentuale di crescita (+40%) consegnando oltre 250 mila BEV con un quota di oltre il 15% che ha superato il 30% nell’ultimo mese dell’anno. Scenario non molto diverso in Francia (oltre 200 mila elettriche, +25%, quota vicina al 15%). L’Italia, invece, è in caduta libera: meno di 50 mila BEV consegnate, con le percentuali tutte in negativo. La contrazione è di più del 25% con un quota di mercato scesa ad un misero 3,7%. In percentuale è andata molto meglio anche la Spagna, un mercato totale che vende poco più della metà del nostro: più 30% rispetto al 2021, 3,8% di quota.

Invece di dibattere all’infinito, per vedere chi è più scaltro a prevedere cosa accadrà fra oltre un decennio, sarebbe il caso di impegnarsi per ridurre ora queste imbarazzanti differenze che ci allontanano dalla linea maestra. Certamente si può: nella ricerca internazionale annuale che fa Deloitte sull’automotive, infatti, la percentuale più alta di automobilisti pronti a passare all’auto elettrica è in Italia (78%), molti di più che in Cina e Germania. Lavorando un po’ sugli ecobonus resi più incentivanti, e velocizzando la rete dei punti di ricarica, si potrebbe pian piano uscire della palude.

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Mercoledì 1 Marzo 2023 - Ultimo aggiornamento: 03-03-2023 14:49 | © RIPRODUZIONE RISERVATA