Il mercato dell’auto va, ma non decolla. Soprattutto in Italia. Mentre proseguono le manovre sotterranee dell’esecutivo per tentare di portare nel paese un altro costruttore automotive che darebbe certamente impulso anche alle vendite, a livello globale le tre grandi aree non si muovono a braccetto, lasciando incertezza sull’evoluzione futura. Quanto di peggio possa esserci per le case automobilistiche che fanno della pianificazione uno strumento fondamentale. Nel mondo, non c’è dubbio, l’elettrico puro ha rallentato la propria corsa (non è affatto vero che è in contrazione) generando difficoltà per quei protagonisti secondo i quali la svolta sarebbe stata rapida.
Di conseguenza prende vigore l’ibrido, soprattutto in Cina e nella variante plug in. Questa, come dice il nome, è ricaricabile, quindi, per svolgere al meglio la propria funzione, necessita di colonnine. Nel grande paese orientale i punti di rifornimento fra pubblici e privati hanno superato i dieci milioni, una quantità neanche paragonabile con quella di USA ed Europa. Per questo motivo è intuibile che l’ansia di trovare un punto di rifornimento è molto meno pressante. Le batterie del plug in, inoltre, garantiscono una percorrenza significativa, perciò necessitano di una capacità importante, a volte simile ai veicoli elettrici. Di conseguenza richiedono una tecnologia e una catena del valore ad elettroni che certamente Pechino ha.
Tornando al nostro paese, a luglio il mercato totale è cresciuto del 4,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, facendo rivedere al ribasso le previsioni delle associazioni per l’anno intero. Siamo al secondo mese di incentivi e, dopo averli tanto attesi, si sperava in un risultato migliore. A giugno, infatti, la spinta dei bonus era stata tre volte tanto, arrivando al 15%. Le vetture BEV (le elettriche) avevano raddoppiato la quota di mercato, passando dal 3,9% del cumulato nel semestre, all’8,3% nell’ultimo mese. Ma gli aiuti per le vetture zero emission sono durati meno di un giorno ed a luglio la share è rientrata nei ranghi (un misero 3,4%, una delle quote più basse d’Europa). Nel Belpaese la “pratica del filo” non è ancora diffusa, di conseguenza la strada per abbassare le emissioni è quella dell’ibrido classico che per muoversi usa energia derivante dagli idrocarburi.
Fra le molte full hybrid e le infinite forme di “mild” tutti i costruttori offrono i loro modelli a recupero di energia e il settore si ingrandisce man mano. Non è strano pronosticare che, tempo qualche anno, le termiche pure non esisteranno più e tutte le vetture con motore a scoppio avranno un meccanismo per recuperare una parte di energia che va persa in frenata e in decellerazione. Quindi tutte le auto a combustione saranno ibride in contrapposizione alle full electric. In Italia le ibride non ricaricabili sono già la parte più consistente delle vendite, il 40% del totale a luglio, contro il 28% del benzina puro e il 12% del diesel in continuo calo.
A livello mondiale, invece, è in crescita il plug in che in prospettiva non ha futuro perché richiede di avere due macchine in una, la termica e l’elettrica. I veicoli 100% a batterie nel primo semestre dell’anno sono cresciuti dell’11%, mentre nel 2023 erano aumentati del 35% e nel 2022 addirittura del 78%. Certo, aumentano i volumi ormai stabilmente in doppia cifra in milioni su base annua. Le plug in a livello globale sono cresciute del 44%, la stessa percentuale del 2023 (45%) è migliore di quella del 2022 (32%). La tendenza è dovuta quasi tutta alla Cina dove le vendite di PHEV nei sei mesi sono arrivate al 41% del totale contro il 32% del 2023. Intanto le previsioni inferiori della crescita di batterie ha fatto crollare i prezzi delle materie prime, sia il litio che il nichel.