Il marchi delle tre case tedesche

Auto, gli scandali non fermano il boom del made in Germany. Bmw, Daimler e Volkswagen in crescita

di Giorgio Ursicino
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ROMA - Errori, disattenzione, superficialità, sul problema delle emissioni dei motori diesel l’industria europea dell’auto e in particolare quella tedesca hanno sicuramente diverse “colpe”. A parte il caso Volkswagen, che ha ammesso gli errori e si è preso le proprie responsabilità, le procedure di omologazione previste da Bruxelles erano evidentemente poco chiare e i vari coni d’ombra hanno contribuito a generare confusione. Se in quel caso potevano esserci dei vantaggi commerciali per avere una posizione migliore rispetto a costruttori di altre aree geografiche meno specializzati nel diesel, nel frangente attuale la pistola fumante del business è molto meno evidente. Pare che nel settore farmaceutico esperimenti del genere non siano affatto un’eccezione e la stessa università di Aquisgrana (oltre ai membri del comitato scientifico di Eugt che hanno commissionato i test) sostiene che gli esperimenti servivano per valutare le condizioni di lavoro degli operai nelle fabbriche e non per sbandierare la “pulizia” dei propulsori a gasolio.

Sia come sia, le conseguenze sul mercato non dovrebbero essere rilevanti, come non lo sono state quelle del caso emissioni che poteva avere una risonanza maggiore. Numeri alla mano sembra che il supermarket globale dell’auto non abbia dato alcun peso a quanto accaduto due anni fa e le case automobilistiche tedesche, Wolfsburg in testa, abbiano addirittura rafforzato la propria cavalcata. Le aziende di Berlino, inoltre, hanno accelerato la svolta verso la mobilità sostenibile rivendicando un ruolo da leader nella corsa verso l’auto elettrica e le emissioni zero.
Il Volkswagen Group ha dovuto mettere mano al portafoglio per superare il problema del 2015 (il costo ormai sfiora i 30 miliardi), ma non ha certo perso la fiducia dei propri clienti che sono continuati a crescere consentendo di mettere in cassaforte risultati finanziari importanti e un risultato operativo almeno in linea con quanto accadeva in precedenza nonostante gli ingenti investimenti sui prodotti futuri.

Ieri l’azione del gruppo tedesco ha perso il 2%, chiudendo a quasi 180 euro, un valore superiore a quello di agosto 2015 prima del caso emissioni. Proprio nel 2016 il Volkswagen Group è diventato il primo costruttore del pianeta scavalcando Toyota, posizione confermata lo scorso anno anche tenendo conto dell’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi che ha chiuso a 10,6 milioni di veicoli consegnati contro i 10,7 dei tedeschi e i 10,3 di Toyota. Potrà sembrare strano, ma il gruppo di Wolfsburg ha incrementato le vendite anche negli Stati Uniti rispetto a prima del problema emissioni, sia come gruppo sia come brand Volkswagen. In Nord America le consegne sono aumentate del 4,3%, in Sud America del 23,7%, in Europa del 3,3%, nella regione Asia-Pacifico del 4,3% per un totale globale del 4,3%. Nell’ultimo mese dell’anno la crescita è stata addirittura più forte (8,5%) e sono mancate 200 consegne per raggiungere il milione di unità. Tutti i marchi del Gruppo (sia vetture che veicoli da lavoro) hanno venduto più dell’anno precedente. Percorso simile hanno fatto Daimler e BMW che proseguono l’espansione accompagnata da solidissimi profitti. Anche Porsche, che fa parte del gruppo di Wolfsburg, continua a registrare un primato dietro l’altro.

Qualità, tecnologia, prestigio, l’industria dell’auto tedesca non rallenta affatto e in qualche modo fa da traino all’intero settore globale (il Volkswagen Group ha oltre 600 mila dipendenti). I brand della Germania sono quelli che più stanno spingendo per l’auto a batterie e con guida autonoma. Audi, BMW e Mercedes hanno già numerosi modelli elettrificati e Smart ha annunciato che dal 2019 diventerà un marchio totalmente ad emissioni zero.
 

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Giovedì 1 Febbraio 2018 - Ultimo aggiornamento: 16:30 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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