Alessandro Ciardi accanto alla sua Toyota GR Yaris con la quale ha vinto la prima edizione del GR Yaris Rally Cup

Alessandro Ciardi: «La GR Yaris Rally Cup è stata un’esperienza indimenticabile»

di Nicola Desiderio
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Alessandro Ciardi ha 47 anni, è pistoiese ed è il vincitore della prima edizione del GR Yaris Rally Cup. Corre dal 1997 e ha partecipato in campionati monomarca Peugeot e Renault, ma quest’anno ha guidato la GR Yaris e ha vinto la classifica finale nonostante un errore che lo ha costretto al ritiro in occasione dell’ultima gara in calendario a Monza. «Sono contento di aver vinto, anche se avrei voluto che non finisse così. Me la sarei voluta giocare al volante, fino all’ultimo».

Come è iniziata questa avventura?

«Tutto è nato dal team con il quale avevo già corso e che aveva comprato la vettura stradale. Avendo saputo di questo trofeo, ha iniziato a ragionarci sopra. Abbiamo detto: proviamoci! Quando abbiamo visto questa possibilità, abbiamo cominciato a lavorarci, ma se senza pretese».

E poi?

«Poi abbiamo vinto subito a Roma in modo inaspettato. E da lì è partita un’avventura molto bella nella quale mi sono confrontato con piloti esperti e giovani, tutti degni di rispetto. Devo dire che tra la velocità dei ragazzi e l’esperienza di uno come me è stato un bel confronto e credo che per loro sia stato anche un bell’esempio per capire come si corre e che, a volte, è meglio accontentarsi prendendo qualcosa di meno piuttosto che rischiare di perdere tutto senza accumulare punti preziosi. A volte io ho dovuto fare così e alla fine ha premiato. Anche se a Monza ho fatto un grave errore, sono riuscito a portare il campionato a casa».

Hai detto di aver corso anche su altre macchine e in altri campionati. Qual è la differenza tra quelli e la GR Yaris Rally Cup?

«Io ho fatto sempre campionato a 2 ruote motrici. La GR Yaris ha 4 ruote motrici, un motore 3 cilindri e un sistema di trazione integrale a controllo elettronico, dunque è molto diversa. La cosa interessante di questo trofeo è che lo fa Toyota e che le gare sono allineate al campionato italiano, europeo e al mondiale. Hai veramente l’occasione di vedere come si lavora ad alti livelli. È stato davvero molto bello ed emozionante, anche per me che sono 25 anni che corro».

E dal punto di vista sportivo che stimoli ti ha dato?

«Il confronto e la possibilità di dare il proprio contributo per migliorare una macchina che di base ha già un potenziale elevato. Altro aspetto stimolante è stato ricevere continuamente evoluzioni da capire e sfruttare. Per me è stato entusiasmante anche confrontarmi con giovani dei quali avevo sentito parlare e, ancora una volta, con piloti navigati che già conoscevo. Sono nate anche amicizie e ci siamo divertiti. Ho trascorso davvero un bell’anno».

Si replica nel 2022?

«Io spero di sì. L’idea del team è quella di riprovarci perché è piaciuta a tutti».

Oltre a fare il pilota, che cosa fai nella vita?

«Io sono vivaista e produco piante da esterno e ornamentali. Ho però avuto sempre una grande passione per i motori e avrei voluto che fosse il mio lavoro, ma io dico sempre che questo sport è come l’università: si parte in 1.500 e poi se ne laureano 2. Si parte con ideali e passioni, ma poi bisogna mollare per varie ragioni, soprattutto economiche. Io però rifarei tutto e sono contento di averlo fatto. E sono contento di aver partecipato a questo campionato perché credo che ci sia un bel confronto tra l’esperienza dell’esperto e la velocità del giovane».

Qual è la gara che ti è piaciuta di più?

«Come ho detto, abbiamo fatto gare bellissime, su tracciati di altissimo livello. È difficile dire quale sia stata la più bella. A Roma siamo passati di fronte a San Pietro, a Verona siamo arrivati vicino all’Arena, a Monza siamo stati a due passi dai campioni del mondo… Sono state sensazioni davvero incredibili».

Le persone vedono l’automobile sempre di più come un mezzo di trasporto e sempre meno come un oggetto di passione. Tu che sei cresciuto tra i motori, che impressione ti fa vedere invece i giovani disaffezionati rispetto alle automobili e alle competizioni?

«Purtroppo vedo una mancanza di interesse da parte dei giovani. Forse le corse andrebbero pubblicizzate di più. Io a 20 anni, quando c’era una gara, la gente sembrava impazzita e c’era un entusiasmo incredibile. Oggi, soprattutto se si tratta di una gara poco titolata, è difficile anche sapere di che cosa si tratta e dov’è. Ci vorrebbe qualcosa o qualcuno che trascini i giovani a vedere queste gare, a scoprire queste passioni e vivere questo sport e la sua bellezza. I rally non sono solo il campionato del mondo, ma sono davvero un mondo in cui tutte le domeniche le persone si preparano per andare a correre».

Se tu dovessi stabilire una similitudine tra una delle piante che coltivi e questa macchina come la definiresti?

«Secondo me è una pianta che chi ha piantato ha già l’immagine di come deve venire. Noi del team e che la guidiamo la facciamo crescere e la vediamo esplodere nella sua bellezza, ma sappiamo che ancora non l’abbiamo vista al suo massimo».

Parlando di potenziale, durante la stagione avete avuto aggiornamenti come le barre di torsione e il “bang” che, come hai detto, hanno rappresentato uno stimolo in più. Che cosa cambieresti ancora su questa macchina?

«Il cambio è la cosa più urgente perché è quello che usi di più. Se non lo fai in modo “elegante”, è poi evidente che rischi di avere qualche problema. L’affidabilità della macchina è altissima, però mi piacerebbe avere un cambio davvero racing».

Che cosa guidi tutti i giorni?

«Al di là dei mezzi di lavoro? (ride) Una BMW 320 Touring M e nel corso della vita ho guidato di tutto».

Tu non hai figli, ma se ne avessi uno lo spingeresti a fare questo sport?

«Avessi un figliolo, mi piacerebbe che corresse, ma non lo forzerei mai. Saprei però di potergli trasmettere qualcosa. Se poi decidesse di fare altro, sarei comunque al suo fianco insegnandogli che cosa vuol dire la disciplina in uno sport».

Qual è il pilota che ammiri o hai ammirato di più e che senti più vicino al tuo modo di guidare?

«Ce ne sono tanti, ma tra gli italiani quello che mi piace di più è Paolo Andreucci, per il suo modo di lavorare sulla macchina e per lo scrupolo che ha nel preparare ogni gara. Mi piacciono le persone pignole, che pretendono dalla squadra e soprattutto da sé stessi. L’ho sempre visto come un grande professionista e io ho sempre voluto guardare e imparare da chi nella vita ha saputo fare. Ogier e Loeb sono campioni sicuramente inarrivabili, ma io ho sempre guardato a chi ho potuto vedere da vicino. Questa è una cosa dei rally che mi è sempre piaciuta moltissimo».

Però a Monza hai trascorso 3 giorni a due passi da Ogier e dalla Yaris WRC…

«È quello che dicevo di continuo al mio navigatore: ma ti rendi conto che siamo a 2 metri dal campione del mondo?! E poi ci ha premiati Latvala. Gli ho anche stretto la mano! Quando mi ricapita?»

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Giovedì 2 Dicembre 2021 - Ultimo aggiornamento: 04-12-2021 14:36 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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