
Guglielmo Miani racconta la genesi e l’anima di FuoriConcorso: «Non è una gara, è una dichiarazione d’amore»
Benvenuti a FuoriConcorso, il format fondato da Guglielmo Miani, imprenditore milanese, presidente di Larusmiani e di Montenapoleone District nella capitale lombarda, che ha trasformato il classico evento motoristico in un’esperienza estetica e sensoriale. “Il Messaggero” ha incontrato Miani alla vigilia della nuova edizione, per capire cosa c’è dietro questa rivoluzione gentile che ha conquistato collezionisti, designer e giovani appassionati da tutto il mondo.
Guglielmo Miani, partiamo dalle origini: cos’è davvero FuoriConcorso?
«Non è un concorso d’eleganza, non è un salone dell’auto, e non è una fiera. È un’esperienza culturale, sensoriale ed estetica costruita attorno all’auto, al territorio e al gusto. Ogni edizione è pensata per raccontare storie, non per assegnare premi. Non ci sono né vincitori né vinti, ma veri appassionati dell’automobile e dell’eccellenza tipica italiana. Crediamo che l’automobile, se letta con gli strumenti giusti, sia una delle forme più ricche di espressione del Novecento».
Cosa rende unico FuoriConcorso rispetto ad altri eventi motoristici?
«La libertà creativa. Non abbiamo vincoli imposti da sponsor o format da replicare. Ogni edizione è un mondo a sé, con un tema, una narrazione e una coerenza visiva. L’obiettivo non è stupire, ma creare connessioni autentiche tra le persone, i luoghi e le auto. Vogliamo che ogni partecipante si senta parte di un momento irripetibile».
Come vengono scelti i temi delle edizioni?
«Nascono da un equilibrio tra intuizione e narrazione. Ci lasciamo ispirare dalla cultura automobilistica, ma anche dal dialogo con la nostra community. Cerchiamo sempre una coerenza estetica e un senso culturale, selezionando temi che facciano emergere nicchie dimenticate o offrano nuove chiavi di lettura su icone consolidate».
C’è un filo conduttore tra tutte le edizioni?
«Assolutamente sì. C’è un fil rouge ben riconoscibile: la celebrazione del “fatto bene”, dell’eccellenza artigianale e della cultura del bello, e del desiderio di eccellere sempre. Ma ogni anno aggiungiamo una componente istintiva e personale, che dà ritmo e freschezza al format. È questo equilibrio che rende FuoriConcorso sempre coerente, ma mai prevedibile».
Qual è stata l’auto più folle passata da FuoriConcorso?
«È difficile sceglierne una sola. Ogni auto porta con sé una storia, un carattere, una follia unica. Abbiamo ospitato vetture rarissime, prototipi irripetibili, auto con pedigree leggendari. Alcune erano opere d’arte in movimento, altre testimoni di sfide estreme. Ma ciò che conta davvero è il legame che si crea tra l’auto, il luogo e le persone che la scoprono: è lì che la follia diventa magia».
C’è un’auto che sogna ancora di portare a FuoriConcorso?
«Ci sono modelli mitici che restano sogni nel cassetto: vetture d’epoca introvabili o auto inaccessibili per ragioni logistiche o legate alla disponibilità dei collezionisti. Ma non rincorriamo l’impossibile a tutti i costi. Preferiamo concentrarci su ciò che possiamo raccontare con autenticità ogni anno. Le auto giuste arrivano quando è il loro momento. La bellezza, quando è vera, non ha bisogno di barriere. Il costo dell’ingresso varia dalla gratuità per i bimbi ai 180 euro per i visitatori».
Quali sono le protagoniste di Velocissimo 2025
«Lancia che racconta la corsa come forma d’arte: la D24, regina della Mille Miglia, e la LC1 Martini Racing, guizzo turbo degli anni ’80, sono legate da un’eredità che non conosce il tempo. Due epoche, stessa anima da velociste eleganti. E poi Maserati affascina con la provocazione raffinata: dalla 420M/58 Eldorado, pioniera delle sponsorizzazioni e dell’audacia italiana in terra americana, alla MC12 GT1, dominatrice del GT mondiale. Due mostri sacri, figli di un'estetica che ama superare ogni limite. Ferrari, invece, mette in scena la propria epopea: dalla scultorea 166MM “Uovo” alla leggendaria 250 GTO, passando per la grintosa Daytona NART e fino alla 499P vincitrice a Le Mans lo scorso anno. Ogni modello è un capitolo di pura gloria rossa. Chiude il racconto Osca MT4, piccola solo nella cilindrata: nata dai fratelli Maserati, sfidò il deserto della Carrera Panamericana con genio e leggerezza. La sua vittoria? Aver dimostrato che il coraggio italiano può battere anche i giganti».
C’è anche la Formula 1 dell’Italia trionfante?
«Sì, sogno non semplice da realizzare. Si va dall’Alfa Romeo Tipo 159, “Alfetta”, campionessa del mondo con Manuel Fangio nel 1951, è l’icona del debutto della F1 moderna: un compressore a due stadi, 450 cv e un fascino che sfida il tempo. Accanto, la Maserati 250F, guidata anch’essa da Fangio, sfoggia eleganza e genio da museo: la sua linea pura e il V12 la rendono una poesia su quattro ruote».
Non mancano certo le monoposto F1 del Cavallino…
«Ferrari porta due pietre miliari della sua storia recente: la F248 F1, ultimo ruggito di Michael Schumacher in rosso, e la F1 87/88C di Berger, regina dell’epoca turbo. Due monoposto che trasudano storia e passione, capaci ancora di emozionare come il primo giorno».
E il mondo rally da chi e da quali pezzi è rappresentato?
«Nel Rally Pavilion è la Lancia a dettare legge: la Stratos Alitalia del Monte Carlo ’77, con Munari al volante, è la sintesi di bellezza, grinta e genio italico. A farle eco, la Delta S4 Martini, mostro sacro del Gruppo B, simbolo di un’epoca estrema, ancora capace di far tremare i polsi. Ad arricchire il weekend, ci saranno incontri d’autore: si parlerà di collezionismo e corse, con piloti, direttori sportivi, Ceo e appassionati, mentre l’arte di Dylan Don e una mostra fotografica celebreranno l’emozione della fotografia automotive. In esclusiva, tre anteprime mondiali e una Ferrari 550 GTC da sogno esposta da RM Sotheby’s».
L’automobile è ancora un oggetto di desiderio o sta diventando solo un mezzo?
«Resta un oggetto di desiderio, per chi sa guardare oltre la funzione. FuoriConcorso nasce proprio per ribadire il valore emozionale dell’auto. In un’epoca in cui tutto tende a essere standardizzato, celebrare la bellezza, l’ingegno e la storia dell’automobile è una forma di resistenza culturale».
La passione per l’auto storica è un affare da over 40?
«Assolutamente no. Vediamo sempre più giovani appassionati, specie se l’esperienza è immersiva e culturale. La nostra community ha un’età media sorprendentemente bassa. I giovani sono attratti dalla bellezza autentica, dal design, dalla manualità. L’automotive classico rappresenta valori forti, da tramandare ai più giovani, riconoscibili anche da chi è cresciuto in un’era digitale».
Le auto moderne hanno perso il fascino delle classiche?
«Molte sì, ma non tutte. Le auto moderne spesso faticano a trasmettere unicità, progettate com’è secondo logiche industriali. Ma ci sono modelli che coniugano tecnologia, bellezza e personalità. Il fascino non è scomparso: oggi va solo cercato con più attenzione».
Il mondo dell’auto di lusso sta andando nella giusta direzione?
«Ci sono brand che continuano a innovare nel rispetto della propria storia. Ma il rischio di omologazione è reale. Il lusso deve tornare a significare unicità, visione, profondità culturale. Brand come Pagani, Bugatti, Koenigsegg o Ferrari lo dimostrano con edizioni limitate di grande significato».