
Maurizio Tira e il paradosso italiano della sicurezza stradale: «Le nostre strade? Antiche come Roma»
Cosa troveranno gli oltre 400 temerari che stanno partendo per la 1000 Miglia 2025? Curve strette, asfalto irregolare, buche nascoste sotto la pioggia d’estate e il sole che brucia l’orizzonte. Un viaggio di 1.900 chilometri, cinque giorni lungo lo scheletro viario del Paese, che è anche uno specchio impietoso dello stato delle nostre infrastrutture.
Proprio tre giorni prima del via della corsa più bella del mondo, a Brescia si è tenuto il VI Convegno sulla Sicurezza Stradale. Lì, tra dati crudi e visioni illuminate, è intervenuto Maurizio Tira, ingegnere, già Magnifico Rettore dell’Università di Brescia e oggi membro esperto della Direzione Generale Mobilità e Trasporti della Commissione Europea (DG Move).
La sua voce ha risuonato forte: l’Italia è indietro. Non solo nella manutenzione dell’asfalto, ma soprattutto nella cultura della sicurezza. Un divario tecnico, economico, perfino morale, rispetto ai Paesi del Nord Europa, dove si punta a zero morti sulle strade.
«Molte nostre strade seguono ancora il tracciato di quelle romane», commenta Tira con un amaro sarcasmo. Eppure, nel 2024, i morti sulle strade italiane sono stati 3.030, un numero pressoché identico al già drammatico bilancio del 2023 (3.039 morti). Perché succede ancora? Forse perché, come ricorda Tira, l’Italia è assente dai tavoli europei che contano. Forse perché non abbiamo ancora compreso che una strada sicura è un diritto civile, non una concessione. E chi guiderà lungo il tracciato della Mille Miglia lo capirà presto: la bellezza del viaggio, da sola, non basta.
Il confronto con il Nord Europa è impietoso: lì le strade durano di più, sono più sicure e vengono riparate in modo automatico grazie a tecnologie robotiche.
In Italia, invece, vige un caos normativo e amministrativo: «Abbiamo norme ferme da anni e ogni intervento sulle strade esistenti ricade sul proprietario – che può essere un Comune, una Provincia o lo Stato – il quale spesso non ha fondi né personale tecnico per gestire le manutenzioni». Un altro problema? «L’assenza di una visione organica: i cambiamenti climatici impongono manutenzioni straordinarie, ma nessuno le ha programmate o finanziate».
A Catania, ricorda Tira, il caldo record ha sciolto i cavi sotto l’asfalto, mandando in tilt l’intera rete elettrica. «La trasformazione urbanistica va governata, non subita. Altrimenti continueremo a pagare troppo – e male – per infrastrutture pubbliche che non reggono più il passo del tempo». Milano è un modello in trasformazione… ma in bilico. Pur soffrendo di limiti di budget, mostra un percorso virtuoso: investimenti mirati, attenzione alla sicurezza e strumenti tecnologici. Il metodo “Nord Europa” richiede visione sistemica, fondi programmati e innovazioni replicabili. Milano può essere un modello nazionale se altre città seguiranno l’esempio, costruendo infrastrutture resilienti, sicure e sostenibili.
“Svegliamoci. Se non ci siamo ai tavoli che contano, decideranno gli altri per noi”
Maurizio Tira non usa giri di parole: “È sconfortante entrare in una conferenza europea e vedere pochissimi italiani. Se non siamo presenti quando si scrivono le regole, poi non possiamo lamentarci se favoriscono gli interessi altrui.”
L’Europa legifera, ma l’Italia latita. Eppure, le decisioni prese a Bruxelles – o a Parigi, o a Berlino – determinano la direzione di sviluppo di intere filiere industriali, dalla mobilità elettrica alla sicurezza stradale. “I documenti tecnici e strategici li fanno gli altri. Noi arriviamo dopo, quando ormai sono piantati. Non si fa così la politica industriale.”
Tira denuncia l’assenza di lobbying italiana nei momenti chiave: “Quando si discute di nuove tecnologie, noi manchiamo. Quando si valutano i dati sugli incidenti, ci fermiamo alle statistiche, mentre altrove si analizzano cause e comportamenti per prevenire. Come in aviazione: si migliora partendo dagli errori, non ignorandoli.”
E cita il caso delle soluzioni di sicurezza attive: “In Svezia, i camionisti usano sistemi salvavita perché il mercato lo ha imposto. Da noi, senza una legge, nessuno muove un dito. Ma la sicurezza non può dipendere solo da norme: deve esserci cultura, visione e un rapporto continuo tra dati, mercato e tecnologie.”
Serve un cambio di mentalità: “Basta con il fatalismo normativo. Bisogna essere dove si decide, proporre, difendere le proprie competenze. Non possiamo lasciare che siano altri a scrivere il nostro futuro.”