Stirling Moss

La Maserati piange Moss: «Ti porteremo sempre nel cuore». Piero Ferrari: «Mio padre lo paragonava a Nuvolari»

di Sergio Troise
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ROMA - La notizia della morte di Stirling Moss, avvenuta nel giorno di Pasqua, ha investito il mondo del motorsport accomunando nel rimpianto migliaia di appassionati sparsi nei cinque continenti. Veterani e giovani sapevano bene che il “re senza corona” nominato baronetto dalla regina Elisabetta era stato in realtà un autentico fuoriclasse del volante, capace d’imprese straordinarie ancorché non premiate dal titolo di campione del mondo. Un titolo che tutti – nessuno escluso – gli avrebbero volentieri attribuito ad honorem. In testa i suoi amici italiani della Maserati, che poche ore dopo essere venuti a conoscenza della morte dell’ex campione, hanno diffuso una nota di cordoglio in cui si legge: “La Maserati ti porterà sempre nel cuore ringraziandoti per quanto hai saputo darle”. Con la casa del Tridente Moss disputò il Mondiale di Formula 1 del 1954 (13°) e del 1956, quando sfiorò il titolo classificandosi secondo, con la 250F, alle spalle di Manuel Fangio (Lancia-Ferrari).

Come i biografi hanno ricordato, Moss sfiorò il titolo iridato per ben quattro volte, classificandosi secondo nei Mondiali di Formula 1 del 1955, 1956, 1957 e 1958, tre volte alle spalle di Manuel Fangio, una dietro a Mike Hawthorn. Per questo veniva ricordato come l’”eterno secondo”, anche se in realtà vinse 16 Gran Premi e in carriera totalizzò 212 successi su 529 gare disputate in ogni categoria.

Dotato di una carica agonistica che non gli ha mai consentito di amministrare la meccanica né d’impostare le corse sulla tattica, era solito andare sempre all’attacco, in pista e su strada, chiedendo a sé stesso e alla macchina il massimo. E anche di più. Questo modo di correre gli diede molte soddisfazioni e qualche dispiacere. Tra le imprese entrate nella leggenda impossibile non ricordare la vittoria nella Mille Miglia del 1955, quando – al volante della Mercedes 300 SL – coprì i 1600 km del percorso Brescia-Roma-Brescia all’incredibile media di 157 Km/h, nel tempo di 10 ore, 7 minuti e 48 secondi. Un record rimasto imbattuto.

Nel suo palmares figurano comunque successi importanti in tante gare che hanno scritto la storia dell’automobilismo, come la Targa Florio, il Tourist Trophy, la 12 Ore di Sebring, il Nurburgring. A porre fine alla sua carriera fu il terribile incidente nel giorno di Pasquetta del 1962, a Goodwood, al volante una Lotus. Rimase in coma un mese e semiparalizzato per sei mesi.

Nella sua carriera ha cambiato più volte vettura, avendo guidato per Mercedes, Vanwall, Cooper, Lotus. Ma una parte importante della carriera, come detto, l’ha condivisa con l’italiana Maserati. Che tuttora lo ricorda come uno dei personaggi che hanno scritto la storia del marchio. A Modena, infatti, sono tutti ben consapevoli del fatto che il pilota inglese aveva il Tridente nel cuore. E il sentimento è sempre stato reciproco, in quanto Moss è stato uno dei campioni che hanno saputo interpretare meglio le vetture nate in Via Ciro Menotti.

Non sono mancate le occasioni di revival, tra Moss e la Casa italiana ritiratasi dalle corse ma sempre dedita alla produzione di Gran Turismo ad alte prestazioni. Una delle ultime visite in Italia di Moss era stata proprio per festeggiare i 100 anni della Casa al Museo Enzo Ferrari di Modena, dove l’anziano ex pilota ritrovò molte delle auto che aveva portato al successo in Italia e nel mondo. Le ricordava una ad una. “La 250 F – disse - era velocissima e capace di appagare il pilota in ogni sua manovra; la 300S aveva un grande bilanciamento e una straordinaria facilità di guida; la Tipo 61 Birdcage univa le caratteristiche delle altre due”.

Ermanno Cozza, ex meccanico, poi dirigente e oggi custode della storia della Maserati, ci ha ricordato spesso una delle frasi celebri di Moss: “I rettilinei sono quei tratti noiosi che uniscono due curve”. In queste parole c’era tutta la personalità del pilota. Grintoso, generoso, irriducibile, veloce. Ma anche un uomo brillante e dinamico, disponibile a partecipare a decine di eventi dedicati all’heritage, a rievocazioni storiche e celebrazioni di grandi eventi del passato. Quasi sempre presenziava al Goodwood Revival, dove qualche anno fa gli fu dedicato uno straordinario tributo alla carriera, con tutte le auto con cui aveva gareggiato in carriera schierate in pista.

Era rimasto legatissimo alla Maserati 250F, che è stata la sua monoposto preferita, quella con cui ha conquistato una delle sue vittorie più belle nel Gran Premio di Monaco del 13 maggio 1956, quando rimase in testa dal primo all’ultimo giro. A quella specifica monoposto (numero di telaio 2522) era così affezionato, da averla tenuta per molti anni nella sua collezione privata. Con la Maserati 250F quell’anno Moss conquistò anche il Gran premio d’Italia a Monza battendo la Lancia-Ferrari che Peter Collins lasciò a Fangio per permettergli di conquistare il titolo.

A proposito di Ferrari, è lecito domandarsi come mai questo grande talento dell’automobilismo britannico non sia mai approdato alla corte di Maranello. Lo ha rivelato Piero, il figlio del Drake, spiegando che in realtà nel 1951 era stata approntata una macchina da affidare a Moss per il Gran Premio di Bari (non valido per il Mondiale). Ma il pilota inglese, dopo un viaggio travagliato, arrivò in ritardo in Puglia e l’auto era stata già affidata a Piero Taruffi. Moss lo apprese quasi per caso da un meccanico. S’infuriò e andò via giurando che mai e poi mai avrebbe guidato per Enzo Ferrari.

In realtà 11 anni dopo, nel 1962, decise di mettere una pietra sul passato e di accordarsi con il Drake di Maranello. L’intesa non fu facile, in quanto Moss aveva già un accordo con Bob Walker, e avrebbe dovuto gareggiare con i colori inglesi. “Ma mio padre – ha raccontato Piero Ferrari - pur di convincerlo, gli fece approntare una Ferrari 250 SWB verniciata in verde british racing. L’auto fu approntata e spedita in Inghilterra, ma purtroppo il destino decise diversamente: prim’ancora di provare la Ferrari, Moss si schiantò a Goodwood con la Lotus e dovette rinunciare alla carriera. Per mio padre – ha raccontato Piero Ferrari - fu un duro colpo. Diceva che Moss gli ricordava Nuvolari”.

 

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Mercoledì 15 Aprile 2020 - Ultimo aggiornamento: 16-04-2020 15:36 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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