Mauto Caruccio (ceo di Kinto)

Mauro Caruccio, ceo di Kinto: «La mobilità deve essere sostenibile, economica e sociale»

di Nicola Desiderio
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Costruire l’ecosistema che renda la mobilità inclusiva, semplice e sostenibile in senso ambientale, economica e sociale. Questo è l’obiettivo di Kinto, il marchio di mobilità del gruppo Toyota condotto in Italia da Mauro Caruccio dove, secondo DealerSTAT, è il preferito dai concessionari nel suo genere. Kinto Italia è inoltre l’unica al mondo, insieme alla sua consociata giapponese, ad aver attivato tutti e cinque le sue piattaforme. «Tre sono asset based e sono Kinto One per il noleggio a lungo termine, Kinto Share per il car sharing e Kinto Flex per l’abbonamento – ricorda Caruccio – e due sono non-asset based e sono il carpooling Kinto Join e l’app multimodale Kinto Go».

Che cosa distingue Kinto dalle altre società di mobilità?
«Il fatto di essere una proposta trasversale con un partner unico per tutti i servizi di mobilità e una rete di assistenza capillare, soluzioni olistiche di rapida implementazione e un sistema che permette di misurare e certificare tutti i benefici in termini di consumi, emissioni ed impatto con l’ambiente».

In che modo?
«Grazie alla connettività di tutte le Toyota e Lexus in flotta. In questo modo possiamo misurare e certificare la carbon footprint di ogni viaggio e permettere alle aziende di inserire i vantaggi raggiunti nel loro bilancio di sostenibilità. La nostra filosofia è tramutare un beneficio collettivo in vantaggio economico».

Chi sono i clienti di Kinto?
«Grandi aziende, piccole e medie imprese, professionisti, privati, pubbliche amministrazioni e organizzazioni no-profit. Al momento, abbiamo in portafoglio 3mila aziende e 20 istituzioni pubbliche tra cui ospedali e università».

E quanti sono i clienti di Kinto per i servizi non-asset based?
«Abbiamo oltre 50mila utilizzatori attivi e regolari dei servizi di Kinto. Tra questi ci sono anche quelli che non hanno né una Toyota né una Lexus, ma usano Kinto Share o Kinto Go per i servizi di multimodalità che vanno oltre l’automobile come la biglietteria per i servizi pubblici, i monopattini e il taxi».

Qual è il ruolo del territorio e dei concessionari per Kinto?
«Essenziale. Kinto sta lavorando con i concessionari perché la mobilità è prossimità al territorio e perché loro hanno il rapporto diretto con il territorio, le sue esigenze e i suoi interlocutori. Grazie a loro riusciamo a coprire le diverse esigenze, che possono essere molto diverse da un luogo all’altro, e molti dei contratti presso aziende locali nascono proprio dall’attivazione dei nostri partner locali».

Le captive di mobilità stanno guadagnando continuamente terreno su quelle “pure”. Tale tendenza proseguirà?
«Io non vedo una dicotomia tra società captive e pure. Parto da un presupposto diverso. Il processo di transizione ecologica sarà lungo e impegnativo e il compito di un costruttore è non solo quello di produrre e distribuire automobili, ma anche di accompagnare questo processo permettendo a tutti di farne parte. Per questo Kinto deve essere l’anello di congiunzione tra le tecnologie e il cliente e l’attivatore di due vettori patrimoniali: il portafoglio clienti e la gestione nel tempo degli asset. Più e meglio li utilizziamo, più creiamo valore».

Flex è l’ultimo tassello di Kinto…
«È quello che ci mancava tra Kinto Share e Kinto Go. Funziona con anticipo zero, prezzo mensile all-inclusive, pagamento con carta, uscita senza penali e 100% digitale».

C’è invece qualcos’altro che bolle in pentola? Verso quali direzioni sta guardando Kinto?
«Stiamo lavorando affinché Kinto e i concessionari siano i punti di riferimento per la mobilità sul territorio. Non abbiamo ambizioni di quote di mercato e di offrire ogni tipo di servizio. Stiamo invece costruendo un ecosistema aperto che ci permetterà di capire come, quando e perché le persone si muovono fornendo risposte e soluzioni. Siamo convinti che non è l’automobile che muove il territorio, ma è il territorio che muove la mobilità».

Dunque c’è un rapporto tra prodotti, servizi e sostenibilità?
«Sì, perché per sostenere la transizione non possiamo fare appello su generici appelli morali. Un esempio per Toyota è WeHybrid: forniamo una tecnologia che, grazie al comportamento dell’utilizzatore, crea un meccanismo virtuoso che permette di risparmiare e accumulare vantaggi economici mentre si riduce l’impatto ambientale. Facciamo così con il full-hybrid e lo stesso faremo con l’ibrido plug-in e l’elettrico».

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Martedì 30 Maggio 2023 - Ultimo aggiornamento: 05-06-2023 17:50 | © RIPRODUZIONE RISERVATA