Un'auto ibrida plug-in

Spazio alle ibride plug-in. La risposta attuale, aspettando le colonnine. Tecnologia ponte che non convince appieno

di Alessandro Marchetti Tricamo
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L’ibrido plug-in piace. Agli italiani ancora di più. Un propulsore tradizionale, uno o più motori elettrici e un pacco batterie ricaricabile a casa o a una colonnina. Vecchio e nuovo insieme, l’inizio di una storia che come tutti i rapporti dalle basi ben solide potrebbe essere senza fine: in Europa nei primi 9 mesi dell’anno si sono vendute quasi 645mila vetture ibride plug-in, con una quota di mercato dell’8,6% e una crescita rispetto allo scorso anno di quasi il 130%. Nello stesso periodo in Italia le immatricolazioni hanno superato 53mila unità. Le versioni 4Xe di Jeep Compass e Renegade condividono i gradini più alti del podio (al terzo posto la Volvo XC40) e con più di 12.300 unità vendute valgono da sole oltre il 20% delle vendite della categoria. Il nostro Paese è quello tra i mercati principali a registrare la crescita maggiore: +329,6%. Certo è meno di un quarto di quelle acquistate in Germania o la metà delle francesi, il trend però è ormai ben delineato. Una soluzione che prova ad andare oltre la sua stessa definizione di “tecnologia ponte” verso un mondo di elettriche pure, puntando su un sistema – consumatori, aziende energetiche e amministrazioni - che nonostante i tanti annunci è ben lontano dal cambiamento epocale di vedere in circolazione solo auto elettriche. Se ne parlerà più in là, nel frattempo spazio alle ibride plug-in.

L’ecobonus governativo (al quale si sommano alcuni incentivi regionali) oggi aiuta a ridurre al minimo la differenza di prezzo di listino ma il successo sembra avere anche una spiegazione tecnologica: le ibride plug-in sono due auto in una, due anime in grado di accontentare chiunque. Si spostano in città a zero emissioni in media per circa 50 chilometri ma grazie alla presenza del motore tradizionale, solitamente un benzina, possono portarci ovunque senza limiti e ansie d’autonomia delle elettriche pure. Niente viaggi programmati al minimo dettaglio su Google Maps o Waze in funzione della localizzazione delle colonnine ma semmai solo quell’evidente senso di smarrimento e delusione quando il silenzio ovattato dell’elettrico è interrotto dall’accensione del motore a benzina.

Il merito è di un pacco batteria dell’ordine della decina di chilowattora, più grande di quello di una “semplice” ibrida tradizionale, che può ricarsi in tempi brevi. Ma non brevissimi: in Italia le colonnine veloci in grado di erogare più di 22 chilowatt (e ricaricare un’ibrida plug-in circa 30 minuti) sono solo il 10% di quelle installate (fonte Acea) mentre a una normale presa in garage servono poco più di 4 ore. Meglio così: in città ormai tirare fuori dal portabagli un cavo di ricarica è sempre più chic, un segno di distinzione che fa sembrare tutti gli altri improvvisamente fuori moda. E l’offerta è sempre più ricca e attraversa tutti i segmenti di mercato, piccole city car escluse. A ognuno la sua ricaricabile. Per capire cosa accadrà in futuro bisogna guardare alle strategie industriali: secondo una ricerca commissionata dall’agenzia Reuters, da qui al 2028 i piani produttivi delle Case automobilistiche europee prevedono il lancio di 86 elettriche pure e solo 28 ibride plug-in. Si punterebbe dunque in modo deciso sull’auto a sola batteria, il resto può considerarsi una semplice fase di transizione. Numeri che si trasformano in musica per alcuni: secondo l’organizzazione europea non governativa Transport&Environment (T&E) le ibride plug-in quando viaggiano con il motore a combustione, a causa dell’incremento di peso legato alla presenza a bordo di due (o più) motori e del pacco batterie, avrebbero emissioni di CO2 molto superiori a quelle di una vettura tradizionale.

In realtà la partita del futuro è ancora tutta da giocare. Lo stop alle vendite di auto con motori a combustione - ibride ricaricabili plug-in comprese - proposto dalla Commissione europea per il 2035, non sembra al momento compatibile con i necessari tempi di riconversione dell’industria e l’esigenza di tutelare fabbriche e posti di lavoro. È plausibile che finita l’eco mediatica della COP26 l’obiettivo possa essere spostato almeno al 2040. C’è poi la questione aperta sulla normativa Euro 7 che qualcuno a Bruxelles vorrebbe cancellare per passare direttamente all’elettrico che, non avendo tubo di scarico, non ha bisogno di limiti sulle emissioni: se come probabile alla fine la Euro 7 arriverà, sarà comunque molto restrittiva e per rientrare nei parametri fissati, l’ibrido ricaricabile plug-in potrebbe diventare di serie su tutte le auto. 

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Martedì 30 Novembre 2021 - Ultimo aggiornamento: 10:53 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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1 di 1 commenti presenti
2021-12-01 14:17:05
Chiedo perdono, ma uno compra quello che offre il mercato non quelli che piace. Se stanno spazzando via il diesel e come alternativa ti propinano l'ibrido, è ovvio che quest'ultimo vende di più