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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Li ceo della Renault Luca de Meo con la R5 prototipo

De Meo, il ceo Renault: «L'anima è nelle radici. Innovazione e tradizione, la nuova R5 sarà l'auto elettrica per tutti»

di Giorgio Ursicino

Durante la sua gestione ha riportato la Seat in attivo e lanciato il marchio Cupra. Una delle poche novità sullo scacchiere europeo dell’auto in un periodo di crisi da covid che ha soffocato il mercato e fatto precipitare i margini. E, il suo inevitabile sì alla corte della Regie, ha lasciato una voragine di dispiacere a Wolfsburg per la perdita del giovane top manager con la “creatività tutta latina”. Luca de Meo, con il suo solito entusiasmo, è saltato in corsa alla guida della Renault, uno dei Gruppi più antichi e prestigiosi che produce veicoli dal 1898 ed ha storicamente nel suo capitale la lunga mano dell’Eliseo. Senza dubbio una sfida entusiasmante, però da far tremare i polsi. Ai problemi della pandemia (la Casa francese è forte soprattutto in Europa, la “region” più penalizzata dal virus), infatti, si sommano le difficoltà da affrontare per le turbolenze dell’ultra ventennale rapporto con Nissan.

“Incomprensioni” fra partner, che hanno lasciato il segno già sui risultati finanziari del 2019 e che sono emerse in tutta la loro evidenza nell’anno da poco terminato. Quando lo scorso primo luglio il Commendatore italiano è sbarcato a Parigi, il ceo ad interim Clotilde Delbos gli ha passato, non certo per demerito suo, la peggior Semestrale nella storia dell’azienda con un risultato netto negativo per 7,386 miliardi (4,817 dei quali dovuti al tracollo degli Alleati giapponesi), un margine sul fatturato sotto lo zero del 6,5% e l’annullamento del dividendo 2019. Decisione presa per dare fiato alla liquidità dell’azienda crollata a 10,6 miliardi il 30 marzo e poi rimpolpata da un prestito di 5 miliardi concesso dal governo-azionista.

Sicuramente una situazione un po’ anomala di fronte alla quale non bastava presentare un piano di rilancio “classico”, ma serviva qualcosa di più strategico che cambiasse l’impostazione del business nel rispetto della tradizione. Una sfida fatta su misura per de Meo che ritiene fondamentale il Dna del brand e ha già dimostrato di saper maneggiare con attenzione e competenza l’innovazione e la lettura di nuove opportunità dai mercati. Scenario mai in forte evoluzione come in questo periodo di svolta energetica e di intelligenza artificiale che porterà alla guida autonoma e totalmente connessa.

De Meo, ci sintetizza “Renaulution”?

«La storia e la strategia dell’azienda cambia un po’ direzione, una scelta che non viene dell’alto ma è assolutamente condivisa. Ci siamo dati un certo tipo di approccio alla partita del quale siamo tutti molto convinti».

Gli analisti, pero, l’hanno definito “prudente”.

«Non direi. Io preferisco definirlo solido. Gli obiettivi, i risultati e le ipotesi economiche emergono dal lavoro della base al quale hanno partecipato in tanti».

Quali sono i vantaggi del business suddiviso per marche?

«È un’impostazione più chiara che credo la Renault non abbia mai avuto a differenza di gruppi come Volkswagen o Stellatis. Così avremo più trazione a differenza della divisione per regioni o per funzioni come era prima. Un vantaggio che ti avvicina di più al mercato e ti concentra sul valore che puoi creare per i clienti. È una scommessa».

Un cambio di marcia netto.

«Tutta la squadra del management della Renault ha accettato che il mondo dell’auto cambierà molto e ci sono delle notevoli opportunità. Quindi vogliamo essere un po’ più veloci della musica su vari aspetti e la cosa mi rende ottimista. Alcuni vantaggi competitivi li possediamo, dobbiamo avere la convinzione di sfruttarli fino in fondo come non siamo riusciti a fare in passato».

Sta cambiando tutto nel settore. C’è qualcosa che possiamo salvare?

«L’identità della marca, i codici estetici, il design conserveranno la loro importanza. Anche la distribuzione, con le dovute tarature, secondo me rimarrà perché è un modo di proteggere il primium price. Credo che trasformarla in qualcosa di immateriale come hanno fatto altri settori porta allo schiacciamento dei margini, un aspetto che già è un punto debole per il comparto. Anche la logica delle piattaforme resterà con un passaggio a quelle elettriche ed a idrogeno. Potrebbe esserci un accelerazione nel campo delle sinergie poiché alcune componenti saranno sempre più uguali. Difficile differenziare i propulsori come un tempo facevano l’Alfa Romeo o la BMW».

Non crede che sia troppo poco?

«Sì, ma il resto cambierà e dobbiamo accettarlo perché il mondo si evolve e noi siamo qui per mandare avanti quest’industria. Le trasformazioni sono un’opportunità e bisogna cavalcarle non ostacolarle. Basta guardare l’argomento emissioni, i regolatori tracciano la strada».

Nel piano è scritto che le svolta rapida verso l’elettrificazione è un modo per far crescere i vostri margini. Ma i prodotti più cari non sono più difficili piazzare?

«Sono vere tutte e due le cose. Quando sono tornato in Renault ho visto che c’erano due filoni su cui siamo in vantaggio e che possiamo sfruttare. E non è solo per le economie di scala che riusciamo a fare essendo leader del mercato e facendo parte dell’Alleanza. Uno è l’elettrico, l’altro l’ibrido, la tecnologia E-Tech. Una Zoe margina più della Clio e un’ibrida più di una vetture con motore tradizionale. È vero, per il momento solo in valore assoluto e non in percentuale, ma anche sotto questo aspetto avverrà il sorpasso se guardiamo le curve di riduzione dei costi».

Quando si invertiranno i ruoli?

«Penso che la marca leader nell’ibrido ci sia già riuscita. Noi ci arriveremo in 18-24 mesi. Con l’elettrico, invece, bisognerà attendere il 2024 con la nuova generazione di batterie. Ma vediamo la luce in fondo al tunnel: come ho detto dobbiamo sfruttare le chance per andare ad estrarre valore con l’eccellenza tecnologica e non con i volumi. Guardate la Tesla: ha venduto mezzo milione di auto e vale oltre 800 miliardi di euro. Noi così tante auto le vendiamo in due mesi e valiamo cento volte di meno».

Quanto costano di più i veicoli 100% a batterie?

«Un valore significativo che nessuno vuole ammettere, soprattutto i politici. Nei prossimi anni le vetture avranno un prezzo più alto. Oggi una powertrain elettrica costa 3 o 4 volte di più di una termica. Fra 10 anni la differenza si dimezzerà, ma costerà ancora il doppio. Anche per questo nel nostro piano non abbiamo previsto un’esplosione dei volumi. Si venderanno meno vetture sia per gli effetti di questa crisi che durerà anni, sia per i prezzi più alti di migliaia di euro».

Come è il rapporto con uno dei suoi azionisti che è lo Stato?

«È senza dubbio un protagonista importante, ma nelle partecipazioni statali francesi ci sono politici che sono anche uomini di business. Quando io ero in Renault 25 anni fa l’azienda era stata appena privatizzata. Hanno a cuore soprattutto alcuni argomenti, la salvaguardia della fabbriche e dei posti di lavoro ai quali non vogliono rinunciare se non è proprio indispensabile. Comunque in Francia la presenza delle Stato nelle grandi aziende si sente più che in Italia, nel bene e nel male».

Come si può affrontare il problema del margine basso di tutto il settore?

«Negli ultimi decenni ci siamo troppo concentrati sulla produzione e l’assemblaggio, settori complessi dai quali è difficile estrarre valore. Facciamo profitti quasi solo dai servizi finanziari e dal post vendita, abbiamo lasciato i guadagni ad altri che non sono i protagonisti principali. Con la nuovo mobilità i costruttori devono riprendere in mano settori tecnologici che hanno abbandonato. Se fra 10 anni faremo il 20-30% del fatturato da cose di cui ora non ci occupiamo, e che alimentano la catena del valore, abbiamo vinto. Dobbiamo trasformarci da aziende manifatturiere in realtà tech, così la borsa ti premia. Bisogna iniziare ad avviare il cambiamento subito perché ci vogliono anni».

Nuove piattaforme elettriche, ma avete proposto la reinterpretazione di modelli iconici. Come possono convivere le due cose?

«È una filosofia in cui o sempre creduto e ho avuto soddisfazioni nelle mie esperienze passate. L’anima è nelle radici, se riesci a rimanere collegato puoi avere grandi vantaggi. In Renault ci sono modelli storici e popolari la cui idea ha avuto il consenso da parte della gente. Credo che certi percorsi si possano ripetere restando però fedeli alla formula originale. La R5 era un’auto semplice, essenziale, accessibile. Se facciamo la nuova dovrà essere così, non esclusiva, di élite. Sarà difficile perché un pianale elettrico è più costoso, ma dobbiamo provarci. Potrebbe essere il modello che democratizza l’auto elettrica in Europa».

Coma ha ritrovato la Renault dove ha iniziato dopo un quarto di secolo?

«Sono stato in molte aziende, ognuna conserva nel tempo il suo spirito che in Renault già conoscevo. è cambiata, invece, con l’esperienza dell’Alleanza, molto più internazionale e meno francese. Questa situazione mi ricorda molto il periodo di Marchionne in Fiat quando nel 2005 bisognava far ripartire l’azienda puntando su forze nuove e basi diverse perché la situazione era complicata. La differenza è che allora ero copilota, adesso al volante ci sono io. Almeno ho visto come si fa...».

Il motorsport, un tema che ti sta molto a cuore.

«Sono un appassionato, me gli do lo spazio che merita. Le vittorie e il prestigio migliorano l’immagine, me creano anche spirito di corpo. La F1 è la massima espressione dello sport motoristico e non sarò certo io a decidere il ritiro della Renault. Mai come in questa occasione mi trovo in mano tanti ingredienti per cucinare un buon piatto. Così come ritengo importate rilanciare il marchio Alpine, ma senza un approccio troppo nostalgico. Su le Mans ci siamo con dei partner, con un budget minimo, ma quella corsa è piena di imprevisti, la gara finisce solo alla ventiquattresima ore».

Come è il rapporto con Nissan?

«Stiamo cercando di riallacciare un filo che si era interrotto, non solo per problemi di business. Se ci riusciamo ci sono vantaggi per entrambi. Abbiamo iniziato da motivi pratici, la divisione dei mercati e la scelta della nuova generazione di batterie. Se ci riusciamo possiamo ricostruire un rapporto di grande fiducia e collaborazione. Dall’Alleanza non si può prescindere: nel 2025 l’80% della nostra produzione sarà su piattaforme comuni con Nissan e Mitsubishi, un livello mai raggiunto. Questa è la migliore risposta se l’Alleanza funziona. Sulla struttura dell’Alleanza e sulla governance preferisco non rispondere, è un tema delicato che dobbiamo affrontare in altra sede».

Con l’elettrificazione ci sarà un appiattimento sul concetto di auto?

«È difficile immaginare questa cosa qua con gli occhiali che portiamo oggi. Il brand diventeranno sempre più esperienziali, si cercherà di creare degli ecosistemi perché sarà complicato differenziare il prodotto in un modo significativo. Un po’ come è avvenuto con gli smartphone».

Il processo di consolidamento nell’auto andrà avanti?

«Non credo sia un tema. In questo argomento si va avanti e indietro. È vero è nata Stellantis, ma la GM si è ritirata da alcuni mercati e in Cina sono nati oltre 70 costruttori. Quale è il limite? Forse 6. Poi 8. Quindi 10 o 15. Non credo sia una soluzione fare un solo produttore da 80 milioni di veicoli l’anno. La competizione crea vantaggi per il cliente e le dimensioni esagerate creano problemi di gestione, la taglia può essere un limite perché non ce più la capacità di fare le cose giuste».

Toyoda ha sollevato il problema sulla diffusione troppo rapida delle auto elettriche. Possono veramente creare problemi sociali e industriali? Serve un riequilibro?

«Non vi arrendete. Il treno è partito. Dipende da come sono state definite le regole del gioco. Se il consumo medio di flotta viene stabilito a 50 g/km, poiché un motore termico non scende sotto i 70 g/km, per bilanciare servono le zero emission e l’unica soluzione è l’elettrico e l’ibrido. È una scelta obbligata. Le regole cambieranno il mix. Le normative avranno un impatto enorme, soprattutto in Europa. Certo, le batterie possono inquinare e la produzione di energia deve essere pulita. Ma sono problemi che affronteremo e risolveremo. Non c’è altra possibilità. Ricordate le lampadine con il filetto? Sparite. È come se ti dicono che non esistono più le sigarette senza filtro. Dobbiamo adattarci a realizzare qualcosa che rispetti le regole, piaccia ai clienti e consenta di fare profitti. Noi come Renault siamo messi bene, abbiamo un’esperienza e una struttura di costi competitiva, dobbiamo spingere in questa direzione. Fra il 2030-2040 vedremo le ultime vetture tradizionali. Guardate l’Euro 7 che entrerà in vigore nel 2026, cioè domani: uccide i motori a scoppio».

Ultimamente avete lanciato dei modelli ibridi molto appetibili. Quando pensate di fare concorrenza al leader del mercato?

«La Clio Hybrid fa il 25% delle vendite, la Captur plug-in supera il 30%. Siamo soddisfatti. L’ho detto che la tecnologia E-Tech è una perla da un punto di vista tecnologico e competitiva per i costi. La Toyota sono 25 anni che vende ibrido, fino a due anni fa i clienti compravano la Clio perché diesel. Serve un po’ di tempo per far passare il messaggio che ci siamo anche noi. La nostra piattaforma elettrica CMF-EV è paragonabile alla MEB Volkswagen, abbiamo due risposte ai leader del mercato e l’obiettivo nel 2025 di essere la marca con il mix più verde in Europa».

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Martedì 9 Febbraio 2021 - Ultimo aggiornamento: 13-02-2021 19:34 | © RIPRODUZIONE RISERVATA