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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Mattia Binotto, team principal della Ferrari

La difficile sfida di Binotto e Leclerc: curare in corsa un Cavallino azzoppato

di Giorgio Ursicino

Una partenza strana. Erano anni che la Ferrari non iniziava il Campionato in questo modo. Anche quando non è riuscita a giocarsi il titolo fino in fondo, lo scatto era stato sempre migliore. Non dal punto di vista dei punti conquistati, perché la safety car e un super Leclerc hanno salvato la domenica. Lo scenario, però, non è dei migliori e la SF1000 vista nella gara inaugurale e qualcosa da dimenticare in fretta. Una cosa non facile da spiegare, anche perché, che tirava un area pesante, si era capito già a febbraio e, anche se le attività di sviluppo sono state quasi completamente bloccate dal lockdown, sembra un po’ strano che non ci sia stato nessun correttivo, almeno parziale.

Le cose si complicano in quanto abbiamo davanti un periodo strano. La Formula 1 è alla fine di ciclo tecnico durato otto anni e in questi ultimi due l’evoluzione è quasi congelata; oltre tutto sul circo aleggia lo spettro del budget cap che la crisi economica del dopo virus (più spese e meno incassi) ha reso più impellente. Insomma è il frangente meno adatto per trovarsi fra le mani una monoposto così inconsistente che nel primo gran premio ha lottato a metà schieramento. Il team è solido come non mai, alla testa c’è un condottiero che piace a tutti. Mattia Binotto si è inserito perfettamente nel ruolo di team principal diventando un competitor ideale del nuovo volto della F1.

Chistian Horner e, soprattutto, Toto Wolff che si sono accaparrati gli ultimi venti Mondiali fra Piloti e Costruttori. Mattia è perfetto: simpatico, educato, non usa mai le divisa Rossa per catalizzare l’attenzione e far sentire le sue ragioni. Ha un carisma naturale fatto soprattutto di credibilità perché dice sempre come stanno la cose, con voce calma, ma ferma. Poi, recentemente, una mossa da leader che quasi sicuramente ha azzeccato: ha scaricato un quattro volte campione del mondo per puntare tutto su un giovane principe che ha vinto solo due gare. Da un tipo così, che è ingegnere ed ha passato nei reparti tecnici di Maranello lunghi anni ricoprendo incarichi di primo piano, non t’aspetti che possa schierare un cavallino azzoppato.

Cosa succederà ora? Non si può sempre sperare in corse di dieci giri con la gomme migliori affinché il talentuoso Charles ribalti la situazione. Binotto tutto appare meno che agitato. La squadra ha individuato i problemi e qualche rimedio arriverà già nel fine settimana ancora a Zeltweg per poi avere evoluzioni più consistenti fra dieci giorni a Budapest. Fiducia totale ma, a lume di naso, non vorremmo essere nei panni della nazionale Rossa perché il ritardo da recuperare è tanto e, sembra, in diverse aree. La monoposto appare nata male e, quello che era il punto di forza l’anno scorso non dà più certezze.

La powerunit non ruggisce più, tanto che domenica c’è stato chi criticava il sound. Il calcolo è presto fatto. Non ci sono punti fermi dal punto di vista delle performance: ne nel propulsore ne nel telaio, tanto che bisogna recuperare un secondo al giro su un tracciato che si percorre in appena un minuto. Un’eternità. Visto soprattutto la forma della Frecce d’Argento infuriate per non aver fatto bottino pieno. Lo scorso anno la SF90 era velocissima in rettilineo e un po’ lenta in curva, ma la ricerca di un filo di carico, non giustifica che ora arranchi in rettilineo.

Sulla potenza della unità motrice potrebbe aver influito l’accordo raggiunto quest’inverno con la Federazione su cosa usare e cosa no sul propulsore dopo le polemiche della scorsa stagione. Nulla di irregolare, per carità, ma la Fia scopre alcune scelte degli ingegneri solo a posteriori ed affina il suo regolamento per evitare che lo facciamo anche gli altri. Come il Das della Mercedes: è legale ma dal prossimo anno non si potrà usare...

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Mercoledì 8 Luglio 2020 - Ultimo aggiornamento: 16:20 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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