Una Atto 3 Byd

Investimenti cinesi all’estero record su auto elettriche. Sono 28,2 miliardi nel 2023

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PECHINO - Gli investimenti diretti cinesi all’estero del 2023 si avviano a segnare nuovi record lungo la catena del valore dei veicoli elettrici, il cui modello di sviluppo è sempre più nel mirino dei Paesi occidentali. Un corposo studio di Rhodium Group ha stimato che le aziende del Dragone hanno destinato 28,2 miliardi di dollari nel settore, una cifra inferiore ai 29,7 miliardi di dollari del 2022, ma che non include vari progetti di grandi dimensioni di cui non si conosce il prezzo, come l’impianto ungherese di Byd e il 25% rilevato da Gotion in un produttore slovacco di batterie. Lo studio ha rimarcato il crescente allarme per la sovraccapacità industriale del Dragone che inonda l’Ue con prodotti a basso costo, come l’ auto elettrica, che sta aprendo un nuovo fronte nella guerra commerciale dell’Occidente con Pechino, iniziata con le tariffe alle importazioni di Washington nel 2018. Mentre, come ha riportato il Nyt, il presidente Usa Joe Biden ha chiesto un’indagine su veicoli e camion connessi a internet che arrivano dal Dragone per i possibili rischi alla sicurezza nazionale sull’invio di informazioni sensibili a Pechino. La Cina potrebbe produrre 10 milioni di veicoli in eccesso all’anno, secondo le stime della società di consulenza Automobility, equivalenti ai due terzi della produzione nordamericana del 2022. Anche la politica commerciale di Bruxelles sta diventando più protettiva verso Pechino.

A settembre, la Commissione ha lanciato un’indagine per verificare se le case automobilistiche cinesi godano di sussidi statali impropri. E a dicembre, la Casa Bianca ha svelato i piani per tagliare la Cina dalla catena di fornitura delle batterie. Sono dinamiche che hanno stimolato maggiori investimenti esteri da parte dei produttori cinesi, ha rimarcato Rhodium, gruppo di ricerca di New York noto per la sua copertura in Cina. Mentre, per aggirare gli ostacoli, a trarne vantaggio potrebbero essere la Corea del Sud e il Marocco che vantano accordi di libero scambio con gli Usa, divenendo quindi Paesi di produzione per la Cina. Un altro fattore, secondo la società newyorkese, è quello del «trasferimento tecnologico inverso» dato il vantaggio relativo di Pechino nel settore e le operazioni all’estero dei produttori cinesi che minacciano la redditività degli impianti di veicoli elettrici e batterie in patria. «Proprio come in altre economie avanzate, in Cina potremmo iniziare a osservare una divergenza tra gli interessi delle imprese e quelli del governo», ha concluso lo studio. 

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Giovedì 29 Febbraio 2024 - Ultimo aggiornamento: 20:07 | © RIPRODUZIONE RISERVATA