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Come in ogni manifestazione di F1 che si rispetti anche il Grand Prix Storico di Roma ha previsto una pace-car che precedeva la colonna delle vetture e una seconda con il ruolo di scortare anche l’ultima vettura del gruppo. All’atto pratico si è trattato di un ulteriore omaggio a Elio De Angelis. Il pilota romano che figura nell’albo dei vincitori di Gran Premi con due centri, è stato celebrato nella sua città unitamente a Ignazio Giunti. Nel parterre c’ erano due delle Lotus F1 con le quali ha corso per sei anni conquistandosi la stima di Colin Chapman, l’iconico capo della casa inglese. Chapman era un geniaccio. Ha portato in F1 la costruzione monoscocca con la 25 e la 33 del mitico Jim Clark, con la 49 ha utilizzato il blocco motore come punto di sostegno della sospensione posteriore, con il telaio che terminava alle spalle del pilota, dove veniva fissato il DFV Cosworth, per Jochen Rindt che amava un guida alla garibaldina, sempre di traverso col posteriore ha studiato l’impostazione cuneiforme con il 70% del peso concentrato sull’asse posteriore.
Con la 78 di Andretti ha alzato il tiro, le minigonne laterali sigillavano a terra il fondo scocca: l’aria così era forzata a passare nelle canalizzazioni e uscendo si creava un effetto Venturi e una depressione che schiacciava il veicolo a terra. L’colpo di genio di Chapman è stato la 88 a doppio telaio, che non ha incontrato i… favori della FIA. De Angelis e Chapman soso sati protagonisti del Grand Prix Storico romano, come in quel famoso Gran Premio d’Austria, prima la volata correttissima con Keke Rosberg, con Chapman che come di consueto lancia in aria il cappellino nero, poi il parapiglia sul palco dove degli addetti troppo zelanti avevano buttato fuori di peso Ezio Zermiani alla sua prima uscita. Non lo conosceva, eppure: “Se non lo fate salire me ne vado….”, categorico e risolutivo. Sono passati tanti anni. Chapman non c’è più. La Lotus ha vissuto puntando su prodotti di nicchia di classe dotati di una fiche tecnologica davvero interessante. A Roma a fare da apripista c’erano due Lotus di cui sarebbe andato fiero Chapman. Sono la Lotus Emira e la Lotus Eletre. La E, in effetti è il segno distintivo della Lotus– Elite, Elan, Europa, Elise, ecc. e attualmente Exige, Evora, Elise – mantenuto negli anni.
La Emira si colloca nel filone delle macchine sportive sostituendo l’Evora. E’ una biposto a motore centrale con dimensioni più importanti sviluppata sulla base della nuova piattaforma Sdi alluminio. E’ lunga 4,41 metri con un passo di 2,57 metri, misure maggiori rispetto a quelle della Exige. Le forme sono quelle di una super GT compatta, che ha un aria di famiglia . Il motore top è il V6 3.5 litri di origine giapponese, sovralimentato con compressore volumetrico. La potenza raggiunge i 360 CV, che mandano in giuggiole il pilota. A Roma l’ha guidata lo stesso Stefano Pandolfi che s’ è divertito tantissimo. “ Non è certo uno scherzo guidare un safety-car, quando ti vedi affiancare da una F1, occorre accelerare a fondo per affrontare la curva per primo. Però che forza” , e non s’è risparmiato strapazzando il motore che alla fine non era più tanto in ordine… La Emira, a detta dei dirigenti sarà l’ultima Lotus a combustibile interna. Intanto parte la sfida della Eletra si propone come un hyper car totalmente elettrica. Ha un sistema bimotore nelle due varianti da 612 e 918 CV. L’Eletra sarà prodotta in Cina dalla Geely. A Roma è stata guidata da Clive Chapman.