ROMA – Jeff Dodds è il nuovo Ceo della Formula E. È un manager britannico di 50 anni che è subentrato ai primi di giugno al canadese Jamier Reigle, che aveva traghettato il campionato oltre la pandemia. «Non ho niente da insegnarli – dice Alberto Longo, uno dei co-fondatori della rassegna – è uno che sa quello che fa e ha le giuste conoscenze. E le prime decisioni che ha preso sono tutte giuste». Longo non dice quali, ma tra queste ci sono probabilmente l'avvicendamento del responsabile commerciale della Formula E e l'ampliamento dell'intesa per la copertura televisiva in Nord America del mondiale elettrico, ragione per la quale fra le tre caselle ancora libere del calendario 2024 lo stesso Dodds non esclude un secondo appuntamento nel continente.
Quali sono i suoi obiettivi in qualità di nuovo Ceo?
«Abbiamo un prodotto sostanzialmente unico. È una serie incredibilmente competitiva, basti pensare al numero di sorpassi o alle strategie in gara. Ho parlato con le squadre: nessuna ritiene di non avere la possibilità di vincere. E nessuna sa pronosticare chi vince, mentre in Formula 1 sappiamo tutti che non è così».
La Formula E non ha solo un'anima sportiva...
«Abbiamo una grande spinta, che è quella dell'elettrificazione: ogni mese la percentuale di veicoli commercializzati a zero emissioni cresce. Parte della mia missione è quella di sfruttare queste potenzialità e far vedere questo sport a un numero sempre maggiore di persone».
Quindi?
«Migliori accordi con i media in tutto il mondo, andare in località differenti per esibire il nostro “prodotto” e non credo che la Formula E sia ancora stata impiegata a sufficienza come piattaforma per parlare di sostenibilità».
E in pista?
«Vogliamo mantenere il campionato come quello di riferimento, vogliamo che le macchine vadano più veloci e che siamo più performanti. E vogliamo che le gare continuino a essere vivaci».
C'è ancora un posto vacante in Formula E: come pensa di convincere chi c'è a restare e chi non c'è ad entrare nel circuito, considerando che avete già perso tre costruttori?
«C'è chi ha scelto di entrare e poi di uscire, ma le porte sono sempre a aperte per chi volesse rientrare. Chi c'è ha bisogno di continuità perché ha investito molti soldi. È vero: abbiamo un posto libero, ma non dobbiamo completare la griglia tanto per completarla. Non ho fretta di farlo perché abbiamo marchi importanti».
Immagina qualche costruttore in particolare?
«Vogliamo qualcuno che sia coerente con il programma. Mi piacerebbe un altro marchio di grande richiamo, ma non necessariamente del motorsport: deve avere una rilevanza globale e interpretare la Formula E come una vetrina per la sostenibilità. Ci sono contatti in corso, non c'è fretta».
Roma è il suo secondo appuntamento da Ceo...
«Adoro Roma, dove ho anche lavorato (per la divisione Moto di Honda, ndr): una città affascinante. Sarà anche la prima nella quale porterò mia moglie e i miei due figli di dodici e quattordici anni a vedere la Formula E. Confido in una bella gara, anche perché il tracciato è sempre impegnativo».
Di solito contano i primi cento giorni di un manager...
«I tempi si sono accorciati, mi pare. Ero andata a Jakarta per vedere, ma mi hanno messo subito a lavorare. Sono importanti già i primi trenta e qualcosa abbiamo già fatto».
Tipo varare il calendario, ma tre date mancano ancora?
«Non escluderei che una possa riguardare un'altra città del Nord America, una grande città. Ci stiamo confrontando con molte realtà. E ci piacerebbe tornare in Cina».
I calendari subiscono modifiche a stagione in corso: non è una debolezza?
«Correre in città non è come correre in circuiti fissi e questo credo sia un punto di forza. Cerchiamo anche di minimizzare i rischi stagionali legati al meteo. La lunghezza è quella giusta, tra gennaio e luglio, e due tre settimane di tempo fra un ePrix e l'altro sono anche l'intervallo giusto. Le case devono trasferire le conoscenze acquisite in pista e dobbiamo permettere alla gente che sta in giro per sette mesi consecutivi di tirare il fiato».
Ogni anno cambiano date e, soprattutto, città...
«Siamo un campionato differente. Dobbiamo trovare un giusto equilibrio e accanto a città “tradizionali” ci interessa portare il messaggio di sostenibilità anche in luoghi diversi».